Il trono di Netflix. La TV che verrà
È così difficile definire il medium televisione che di solito si usano categorie negative. La televisione è tutto quello che non è: radio, teatro, internet, ecc. La linguista Vera Gheno, nel piacevole articolo L’intrinseca differenza fra “guardare la TV” e “fissare il TV” ha analizzato gli aspetti nozionistici di base per comporre ad una definizione.
Resta tuttavia difficile integrare in un lemma minimo tutte le funzioni della “scatola magica”, che possa racchiudere gli usi che ne fanno le persone sulla base della loro età, della generazione di appartenenza, del ceto sociale, dell’etnìa, del genere e dell’orientamento, delle credenze religiose o politiche. Anche perché la TV si ibrida continuamente con tutto ciò che è tecnologico, incorporando tecnologie e modalità di fruizione ad una velocità tale che è difficile prevedere le stesse ricadute socio-antropologiche, cioè il modo con cui queste trasformazioni, stimolate dagli utenti, trasformino poi gli utenti stessi.
In questa rubrica cercheremo di approdonfire questi aspetti, semplificando come sempre gli argomenti per i lettori di TV-Generation.
Questo primo articolo è dedicato a capire come si sta trasformando la TV a partire dagli spunti del report di It Media Consulting «Video on demand in Europe: 2019-2022 The Netflix’s Throne» (giugno 2019). L’ingresso sul mercato di Netflix (in USA nel 2008, in Italia nel 2015) ha portato il video on demand (o VoD), cioè il “video su richiesta”, fruizione alternativa al palinsesto programmato dalle emittenti, ad affermarsi nel 2018 come modalità di visione della televisione più diffusa, tanto da mettere in crisi alcuni modelli, come la “Tv via cavo” classica (in Italia praticamente inesistente). Nel VoD le piattaforme più note sono Amazon Prime Video (2016), Tim Vision, Infinity, o YouTube Premium e Facebook Watch, accanto ad altre che rientrano nella categoria on demand come RakutenTV, Chili, Rai Play, Mediaset Play e ad altre ancora, realtà industriali con previsioni di crescita importanti, come Apple TV, Disney+ o Hulu, o altre che avrebbero bisogno di un rilancio per evitare il declino. Le piattaforme si specializzano per contenuti (come Netflix che autoproduce serie), per coinvolgimento social interattivo (e segnalo il “caso” Twitch.tv, la piattaforma dello streaming dei videogamer), per tecnologie, e possibilità di visione multipiattaforma, cioè la possibilità di non interrompere la visione di un contenuto se cambio il supporto su cui sto vedendo (dal cellulare, alla smart TV o alla console di giochi, che supportano la App del servizio di VoD, come Q di Sky).
Il prossimo futuro, che vedrà anche l’avvento della rete 5G, sarà caratterizzato dal quad-play, cioè la possibilità di utilizzo di servizi ad alto consumo di banda (internet, VoD e audio/telefono) oltre che tramite cavo (ADSL, Fibra, ecc.), tramite la rete mobile.
Sulla base delle previsioni, analizzate da Augusto Preta su LaVoce.info, i ricavi totali del VoD in Europa aumenteranno tra il 2019 e il 2022 del 12 per cento, superando nel 2022 i 10 miliardi di euro. L’81% delle entrate sarà derivato dagli abbonamenti. Germania, Francia, e Gran Bretagna costituiscono più il 60 per cento del totale dei ricavi. Il resto d’Europa, incluse grandi nazioni come l’Italia e la Spagna, costituisce meno del 40 per cento ma con tassi di crescita, in previsione, molto più elevati.
Gli utenti ricercano tre elementi: funzionalità, contenuti originali di alta qualità e prezzo basso. Netflix, che ha sempre scelto di investire nella programmazione di contenuti originali, dimostrando una crescita costante nel Regno Unito e, in misura minore ma pur sempre rilevante, in Francia e Germania. Il fenomeno è destinato ad estendersi a tutta l’Europa.
La novità, evidenziata dal report di It Media Consulting, è la prospettiva di una concorrenza sempre più accanita a caccia di nuovi clienti. In campo non c’è più solo Amazon Prime, ma i proprietari dei contenuti della generazione televisiva precedente: i colossi iniziano a realizzare i propri servizi di streaming (Sky, Warner, Fox, Universal e Disney). Le aziende televisive hanno iniziato a proteggere i propri contenuti video premium, dedicando risorse per sviluppare i propri cataloghi di contenuti, per rendere le rispettive piattaforme più accattivanti per i consumatori, in competizione con i giganti della rete.
In pratica, cosa accadrà? È facile prevedere che chi potrà permettersi un abbonamento più costoso o più abbonamenti per più piattaforme e contenuti, e chi avrà l’alfabetizzazione digitale necessaria, avrà accesso alla migliore televisione del momento, con contenuti più recenti e selezioni più vaste anche dai cataloghi classici.
La TV classica (non on demand e non a pagamento) sarà relegata a spazi sempre più confinati e limitati con modalità di visione meno performanti e meno stimolanti. Se pensiamo alle politiche sempre più restrittive applicate dai gestori (vedi ad esempio il caso Spotify, che impedirà ad utenti non residenti allo stesso indirizzo di fruire dei servizi family), all’aumento dei costi prospettati per ripagarsi degli investimenti per le nuove tecnologie (come il 5G), sarebbe il caso che il legislatore italiano ed europeo si occupasse di accompagnare questa nuova grande trasformazione verso scenari più pluralisti e accessibili da tutti, in modo che la cultura non resti appannaggio di pochi.