Biancaneve a Beverly Hills
Biancaneve, Cenerentola, Pinocchio, Alice, sono i protagonisti di fiabe e racconti per bambini che fanno parte dell’immaginario e della memoria di ciascuno di noi. Solo al sentire nominare uno di questi personaggi, la mente immediatamente richiama dalla memoria la copertina del libro di fiabe che leggeva da bambino o qualche scena del film animato visto magari in un freddo giorno di un Natale di tanti anni fa. Si tratta di personaggi le cui storie vivono stratificate nella nostra mente e dei quali in maniera automatica riconosciamo caratteri e caratteristiche.
Assolutamente brillante è stata allora l’idea degli autori della ABC di utilizzare questi personaggi per la realizzazione della famosa serie C’era una volta, in originale Once upon a time, andata in onda negli Stati Uniti dal 2011 al 2018 ed ancora presente sulle principali piattaforme streaming di tutto il mondo.
L’idea di base è allo stesso tempo semplice è geniale: i personaggi delle fiabe, vittime di un sortilegio della Strega cattiva vengono catapultati dalla foresta incantata al XXI secolo e sono costretti a vivere come la gente comune, adattandosi alle meraviglie del mondo moderno. Essi, tuttavia, conservano le proprie caratteristiche principali (eroismo, furbizia, bontà, malvagità…) e continuano ad incarnare i loro archetipi, cosicché l’interesse del pubblico è stuzzicato, oltre che dalla trama in cui si sviluppa la serie, anche dallo scoprire in che modo i personaggi vengono interpretati in chiave moderna.
L’idea non è tuttavia una novità nei palinsesti della ABC, che sembra aver rispolverato un vecchio successo degli anni ’80 che pure aveva investito sui personaggi delle fiabe. In pochi forse ricorderanno la sit-com The Charmings, conosciuta in Italia come Biancaneve a Beverly Hills, trasmessa dalla ABC dal marzo del 1987 al febbraio del 1988 ed in Italia da Odeon TV dal 1989 e considerata per lo più una “serie minore”.
Anche qui la storia si propone come un sequel del “vissero felici e contenti” della famosa fiaba. Biancaneve (Snow White) ed il Principe Azzurro (Prince Charming, da cui il nome della serie) alla fine della fiaba gettano la regina cattiva in un burrone senza fondo, che si rivela però, in realtà, essere solo molto ma molto profondo. La regina, quindi, dopo alcuni anni impiegati per risalire in superficie, per vendetta scatena un potentissimo incantesimo che getta la figliastra, il principe ed i loro figli in un sonno di mille anni.
Tuttavia il sortilegio è talmente potente ed incontrollabile da coinvolgere la stessa strega ed uno dei nani. Tutti i personaggi si risvegliano, quindi, nella California degli anni ’80 e devono adattarsi alla vita moderna.
La sit-com è girata, per lo più, in interno e si dichiara fin dall’inizio come una produzione a basso costo; “effetti speciali” abbastanza rudimentali, anche per l’epoca, le classiche risate del pubblico registrate, giusto per sottolineare i momenti particolarmente comici.
La narrazione delle puntate segue, più o meno, sempre lo stesso schema.
I Charmings devono confrontarsi con un aspetto del mondo moderno, al quale non sono chiaramente preparati, cercando di adattarsi spesso alle aspettative dei loro vicini; immancabilmente interviene un incantesimo, a volte pasticciato, della strega cattiva; in qualche modo la vicenda si risolve positivamente ed alla fine dell’episodio tutti vivono sempre “felici e contenti”. A dispetto delle trame semplici, i personaggi sono ben strutturati e, benché ciascuno legato al suo archetipo, riescono a coniugare in maniera divertente il loro passato fiabesco (e vagamente infantile) con l’allora presente dell’America degli anni ’80. Particolarmente godibili sono gli scambi tra Lillian, la matrigna (Judy Parfitt), e lo Specchio magico (Paul Winfield).
La prima stagione della serie (che conta invero appena 6 episodi) ottiene un discreto successo nella fascia di programmazione del venerdì sera (tradizionalmente il più difficile), dove inizialmente il network l’aveva inserita, tanto da essere spostata, per la seconda stagione (15 episodi, di cui l’ultimo mai andato in onda negli Stati Uniti), al giovedì sera, in competizione con I Robinson (The Crosby Show). Questa incomprensibile scelta della Rete, come era prevedibile, provocò un calo degli ascolti verticale, determinano, quindi, la sua cancellazione.
Il ruolo di Biancaneve è interpretato nella prima serie da Caitlin O’Heaney, ma l’attrice viene sostituita per la seconda stagione da Carol Huston, ufficialmente perché la sua interpretazione della parte non è in linea con le intenzioni degli autori, ma secondo fonti meno ufficiali parebbe che l’attrice, forte del successo, avesse richiesto un compenso più alto alla produzione. In realtà, i beninformati affermano che la scelta di spostare la serie al giovedì sia stato un suicidio volutamente programmato dalla Rete, che temeva azioni legali da parte della Disney. Sembra, infatti, che la società di Topolino abbia iniziato a lamentarsi con le alte sfere della ABC, avendo visto nella sit-com un’evidente parodia del suo celeberrimo cartone animato. In particolare la O’Heaney era stata giudicata troppo somigliante alla Biancaneve disneyana (da qui la scelta di sostituirla) ed alcune scene erano troppo occhieggianti al film, come quando gli animaletti del bosco vengono ad aiutarla a riordinare casa dopo una festa.
Se fossero vere queste voci, resterebbe inspiegabile come nella seconda serie Carol Huston abbia potuto cantare Someday my prince will come, senza incorrere nelle ire disneyane.
Da notare anche che in alcuni episodi companiono come guest star, attori presi in prestito da altre serie in onda sulla ABC come Bernie Kopell (il Doc di Love Boat) e John Astin (il celeberrimo Gomez de La Famiglia Addams).
Nonostante la sua breve vita, la sitcom ha ottenuto, comunque, quattro nomination agli Emmy, riuscendo a vincerne anche uno nel 1988. Le critiche di chi, in quegli anni, ha seguito lo show si sono concentrate sul fatto che ciò che effettivamente sembra mancare in questa serie, rispetto a tutte quelle prodotte negli stessi anni, è il contatto con la “vera” realtà dell’epoca ed il confronto con le tematiche di approfondimento sociale.
Tranne alcuni momenti in cui i personaggi si interrogano sul perché il mondo moderno, nel cercare di semplificare le cose, le abbia di fatto complicate, non sembra esserci di fatto un “vero” confronto col mondo “reale”.
L’atmosfera che si crea nella serie sembra riportare invece più a quelle di contenuto simile girate 20 anni prima, come Vita da strega o Strega per amore, dove le vicende erano per lo più concentrate sull’aspetto “magico” dei personaggi ed sui giochi di equivoci e situazioni paradossali che si venivano a creare. Anche lì erano presenti personaggi magici “disturbatori”, vicini impiccioni e generalmente un mondo esterno con cui i personaggi dovevano relazionarsi.
In realtà, a ben guardare, una forma di contatto col mondo “reale” non manca. I personaggi di Neve (Snow) ed Azzurro (Eric), difatti, evolvono nel corso delle puntate; nei primi episodi Neve resta in casa a svolgere le faccende domestiche, mentre il marito esce alla ricerca di un impiego.
Durante la seconda stagione, invece, arriveremo a vedere Azzurro diventare uno scrittore di libri per bambini che lavora in casa, mentre Neve diverrà una stilista di moda che lavora fuori casa.
I personaggi, quindi, si staccano dai loro stereotipi di partenza ed evolvendo vanno a rappresentare un aspetto certamente problematico della società americana degli anni ’80, in cui i ruoli dei sessi, all’interno della famiglia e nel mondo del lavoro, stavano cambiando. Del resto è del 1988 il film Una donna in carriera (Working girl).
Probabilmente, gli autori avrebbero potuto utilizzare la semplicità e lo sguardo “fiabesco” dei personaggi per indagare altri aspetti della società dell’epoca, rendendo la serie forse più appetibile ed interessante per il pubblico ed una migliore collocazione nella programmazione l’avrebbero potuto salvare dalla repentina chiusura a cui, invece, fu destinata.