Sister Kate
“Maybe an angel is watching over you…” (Forse un angelo veglia su di te)
Probabilmente è questo che si augurava Suor Katherine Lambert il giorno che varcò la soglia della Redemption House, residenza cattolica di Chicago per l’accoglienza di giovani orfani e ragazzi in difficoltà.
Lì vivono in sette, tra bambini ed adolescenti, che col loro comportamento, diciamo indisciplinato, hanno già messo in fuga ben tre preti. Sorella Kate, che fino a poco prima si era occupata di scavi archeologici, è incarica di mettere ordine nell’istituto ed occuparsi di queste sette giovani pesti, tentando di trovare loro anche un’amorevole famiglia adottiva. A dispetto di ogni previsione la suora riesce a conquistare la stima ed il cuore dei ragazzi col suo humour, ed accento, britannico ed i suoi modi franchi, affrontando con successo anche i loro scherzetti diabolici.
È questa la trama di una sit-com, andata in onda in Italia nei primi anni ’90 sulle emittenti locali collegate al circuito Cinquestelle, dal titolo appunto Sister Kate, di cui appunto Maybe an angel, è la sigla di apertura.
Sorella Kate è interpretata da Stephanie Beacham che, già nota a livello internazionale per aver interpretato il ruolo di Sable Colby in Dynasty e ne I Colby, sveste gli abiti eleganti della donna d’affari senza scrupoli per indossare il saio di un personaggio fortemente ironico nell’ambito di una produzione rivolta ad un pubblico totalmente diverso.
Gli ospiti della Redemption House sono Todd, il tipico adolescente americano, April, la bionda un po’ svampita, Freddy (Frederika), il maschiaccio di casa, Hilary, costretta su una sedia a rotelle, Eugene undicenne già uomo fatto, Violet, dolce ragazzina di 9 anni e Neville, bambino giamaicano di 7.
Dietro al loro aspetto scanzonato, i ragazzi celano spesso un passato problematico che li ha condotti nell’istituto e col quale nel corso della serie si trovano a dover fare i conti.
April spera che la madre superi la depressione nella quale è piombata dopo la morte del marito. Freddy desidera che il padre, truffatore di professione, cambi vita e torni da lei. Hilary non vive serenamente la sua disabilità e teme che questa le possa impedire di vivere una vita normale e di trovare una famiglia che la ami. Neville finge di essere un piccolo giamaicano dai comportamenti machisti e misogeni, ma in realtà, proviene da New York ed ha semplicemente bisogno di qualcuno che lo ami.
La serie, prodotta dalla 20th Century Fox Television e trasmessa dalla NBC dal settembre del 1989 al luglio del 1990 nella fascia oraria compresa tra le 20 e le 21 della domenica, fu cancellata dopo diciotto episodi (il diciannovesimo non è mai andato in onda) a causa dei bassi ascolti. Al riguardo c’è da dire però, che la sitcom dovette affrontare nel medesimo orario di programmazione la concorrenza de La signora in giallo e degli allora esordienti Simpson.
La sitcom ricorda per alcuni aspetti, Mr. Belvedere e soprattutto L’albero delle mele, dove ugualmente c’è una figura femminile carismatica e dalla battuta pronta che si prende cura di giovani in formazione e dove allo stesso modo, negli episodi vengono spesso affrontati temi socialmente rilevanti come il fumo, l’alcolismo, la disabilità, la depressione, il sesso, trattandoli con ironia ma cercando, comunque, di trasmettere un messaggio educativo positivo.
A fare da traino alla serie è, ovviamente, la bravura di Stephanie Beacham, che per questo ruolo ha ottenuto anche una candidatura per un Golden Globe, alla quale si affiancano dei comprimari di tutto rispetto, benché di giovane età.
Uno tra tutti, Jason Priestley, che interpreta Todd, all’epoca giovane attore canadese semisconosciuto, che pare sia stato notato da Tori Spelling proprio in questa serie e quindi, suggerito alla produzione per essere provinato per il ruolo di Brandon Walsh nella celeberrima Beverly Hills 90210.
A parere di chi vi scrive, sono davvero notevoli anche Joel Robinson, che interpreta Neville, il “finto” bimbo giamaicano, ed Harley Cross, che interpreta Eugene, il ragazzino “che non deve chiedere mai”.
Benché la serie sia, quindi, godibilissima ed avrebbe meritato forse una sorte più rosea, vi è però da dire che la scelta di ambientarla in una casa famiglia avrebbe comunque reso difficile il suo sviluppo in successive stagioni, volendo conservare sempre gli stessi personaggi, salvo non cadere nel loop della Casa di Pony di Candy Candy, dove gli orfani sono sempre gli stessi, non crescono mai e non trovano mai genitori adottivi.
Era assolutamente inverosimile, infatti, che nessuno degli ospiti della Redemption House, sopratutto i più piccoli, non riuscissero mai a trovare una famiglia che li volesse accogliere.
Alcune curiosità: Stefanie Beacham ha lavorato anche in Beverly Hills 90210, interpretando il ruolo di Iris, la madre di Dylan. Negli episodi finali alla gang si aggiunge un nuovo ragazzino, Buster, interpretato da Miko Hughes, anche lui presente in Beverly Hills 90210. La sigla Maybe an Angel è cantata da Amy Grant, famosissima cantante statunitense di musica religiosa, ma pare che non sia mai stata incisa e pubblicata. Nell’episodio 14 appare il duo musicale Milli Vanilli, che recitano alcune battute prima di eseguire un loro pezzo. Il duo è stato al centro di noto scandalo nel mondo della musica leggera quando si scoprì che non erano realmente loro a cantare i loro pezzi, ma i brani erano eseguiti da altri e le esibizioni avvenivano in playback
In quasi tutti gli episodi, dopo la sigla, appare un’inquadratura dell’insegna posta nella giardino della casa famiglia Redempion House – A Catholic Residence for Children, con un cartello più piccolo, scritto a mano dai ragazzi ed attaccato più sotto, sempre diverso, come ad esempio: “over 1 million served” (oltre un milione di clienti soddisfatti), “adopt one, get the second one free!” (adottane uno, ricevi il secondo gratis!), “most major credit cards accepted” (accettate le principali carte di credito),
“seven orphans no waiting” (sette orfani nessuna attesa)….
….e già da questo si capisce il tenore della serie.