Enrico Melozzi: un direttore Superstar
Enrico Melozzi, nato a Teramo, classe ’77, violoncellista, compositore e direttore d’orchestra. Membro del London College of Music, dal 1999 è attivissimo nel panorama della musica italiana sia classica che pop. Acquista una certa notorietà dirigendo e arrangiando i brani di alcuni artisti al Festival di Sanremo, come i Maneskin, e risultando vincitore di un Nastro d’argento per il film Il gioco di Adriano Giannini. Oltre al Festival di Sanremo sarà impegnato, poi, al Teatro alla Scala di Milano, considerato da lui l’evento della sua vita.

Mi verrebbe da dire che dentro di lei non ci sono piastrine o globuli rossi, ma note e pentagrammi, visto che già a otto anni ha cominciato a comporre da autodidatta. Innanzitutto, perché prima il pianoforte e subito dopo lirica?
Quando uno è musicista, dopo un po’ non si rende più conto della sua particolarità; per me tutto diventa normalissimo: pensare la musica, gli arrangiamenti, scrivere una sinfonia. La gente dice “madonna mia, come fa?” ma per me è la normalità. Per quanto riguarda il pianoforte, io sono cresciuto a Teramo, piccola città di provincia, e ho visto un manifestino che pubblicizzava una scuola di musica pianoforte. Già mi piaceva la musica, ho chiesto a mia madre di potermici iscrivere. Però, a dirla tutta, non amavo il classico metodo d’insegnamento con esercizi e teoria: a me serviva un approccio creativo alla musica, che purtroppo non trovavo. Così ho iniziato a inventarmelo da solo. Per la lirica, invece, è stato un caso: frequentavo un coro, e il padre della maestra notò che ero volenteroso. Mi propose di insegnarmi la lirica privatamente, e così ho imparato a cantare sia leggero che lirico e ad apprezzare quella che, a mio avviso, è la più alta forma di bellezza italiana.
La sua prima esibizione in pubblico, in quale occasione è avvenuta e con quale strumento?
Se escludiamo le prime “esibizioni” non musicali… da piccolo facevo il “mago” ai ritrovi di Natale con i parenti. Ero bravissimo a organizzare spettacolini farlocchi, con sipari di coperte e “levitazioni” di mio cugino (in realtà mandavo mio cugino fuori dal balcone). Era più una truffa che magia, con tanto di passaggio del cappello alla fine, ma si divertivano tutti! La prima esibizione musicale seria fu a casa mia, per il mio compleanno – avevo 13 o 14 anni. Avevo messo in piedi la mia primissima band, gli Evil’s Eyes (nome epico, lo so) e ci siamo esibiti davanti a una ventina di invitati. Quello fu il mio vero primo concerto “pubblico”.
Colleziona tantissimi strumenti musicali, ne ha più di cento, ma ce n’è uno preferito a cui è più legato?
Non mi affeziono molto agli oggetti materiali, ma uno strumento in particolare ha un valore affettivo enorme (ed anche un notevole valore economico): la chitarra romantica francese del 1816 circa che apparteneva a mio nonno. È un pezzo raro, di un liutaio francese, e in modo rocambolesco è finita nelle mie mani: inizialmente era di mia zia, poi l’ho ereditata io e ci sono molto legato.
Ieri, Dirige il Maestro Beppe Vessicchio … (ovazione del pubblico di Sanremo). Oggi, dirige il Maestro Enrico Melozzi (ovazione e tripudio dal pubblico di Sanremo). Quale è stato il momento che ha percepito il cambiamento? Siete amici con Vessicchio?

Sì, con Peppe c’è una grande stima reciproca; abbiamo condiviso anche delle esperienze insieme. Quanto al cambiamento, è stato un divenire graduale. A un certo punto mi sono girato e ho pensato: “Ma allora è così!”. Forse uno spartiacque è stato il Sanremo con i Måneskin, anche se paradossalmente, per via delle restrizioni Covid, non c’era nessuno a applaudire in sala! Eppure, è lì che ho realizzato che la mia figura come direttore d’orchestra era ormai riconosciuta al grande pubblico.
Colonne sonore, opere liriche, musica tradizionale, musica pop, compositore arrangiatore e produttore, infinite le sue opzioni creative con la possibilità di sperimentare. Ma quali tra questi settori trova la sua comfort zone?
La mia comfort zone è cambiare il più possibile. Certo, dirigere l’orchestra o lavorare in studio di registrazione sono le cose che amo di più in assoluto. Quando devo suonare lo faccio volentieri, ma mi sento più a casa quando produco, arrangio, dirigo i musicisti. Se devo scegliere, dirigere un’orchestra sinfonica è la cosa più bella del mondo.

Dal 2012 Direttore d’orchestra per il Festival di Sanremo: Noemi, I Maneskin, Il Volo, Federico Moro, Grignani, Achille Lauro, Giusi Ferreri, Pinguini Tattici Nuclerari, Ghali, Mr Rain, Gazzelle e Comacose. Qual è il brano più difficile di esecuzione in base all’arrangiamento o all’ interprete.
Piccola correzione: Fabrizio Moro e Il Volo non li ho mai diretti a Sanremo, ma ho collaborato con loro in altre occasioni (Arena di Verona, Eurovision, pezzi come autore ecc.). Invece, il brano che considero più difficile è stato. Quando ti manca il fiato di Gianluca Grignani. Era un pezzo con una struttura complessa, quasi un’opera rock concentrata in pochi minuti. Arrangiarlo e dirigerlo ha richiesto un’attenzione enorme.
Michael Riessler, Paolo Fresu, E. Morricone e Giovanni Sollima solo alcuni nomi, con cui ha collaborato. Non si possono fare confronti o classifiche. Ma quali sono i pregi artistici di queste personalità che ha fatto sue?
Da Michael Riessler sono stato l’assistente e l’“angelo custode” per anni, e ho imparato tantissimo sul mondo del lavoro e su come gestire progetti artistici diversi con originalità. Da Ennio Morricone ho imparato che i giovani non vanno sempre incoraggiati a prescindere; a volte è persino meglio “scoraggiarli”: se continuano per la loro strada nonostante le difficoltà, vuol dire che hanno davvero talento. Paolo Fresu mi ha dato un’opportunità quando ero molto giovane, chiedendomi di scrivere pezzi per quartetto d’archi. Mi ha aiutato a farmi conoscere. Giovanni Sollima, infine, mi ha insegnato la libertà di espressione: suonare e scrivere come ti viene, senza badare troppo ai condizionamenti delle scuole o delle accademie, ma ascoltando ciò che vuole il pubblico. In fondo, la musica è di chi la ascolta, non dei nostri colleghi musicisti.
Il luogo dove si è esibito che l’ha emozionato di più?
I teatri greci di Taormina e Siracusa sono stati posti incredibili; amo questi luoghi antichi che trasudano storia. Ma anche suonare in riva al mare a Pescara è stato magico, e spero che il mio debutto alla Scala di Milano, previsto per il 4 giugno, possa diventare un’altra di quelle esperienze da primissimi posti nella mia “classifica di emozioni”.
La sua stravaganza nel modo di vestire e pettinarsi è il suo marchio di fabbrica, ma Enrico Melozzi a casa… come si veste? Come passa il tempo libero?
In casa giro in mutande e basta. A volte indosso una maglietta, a volte no. Per il resto, studio molto, ascolto dischi, guardo film. Ho una passione per i gialli tratti dalla cronaca nera: trasmissioni come Un giorno in pretura, Quarto Grado, Chi l’ha visto? e simili me le vedo tutte. Mi piace discuterne con gli amici e con mia madre (anche lei appassionatissima), fantasticando su chi sia l’assassino o come si sia svolto il caso. Non guardo i telegiornali, solo cronaca nera.

Il suo piatto culinario preferito da sfoggiare nelle sue cene tra amici.
La matriciana, perché – e lo dico da abruzzese – Amatrice, fino al 1927, era in provincia dell’Aquila. Non è un piatto romano come tutti credono, ma un piatto abruzzese DOC! Adoro invitare gli amici romani a casa mia, far loro una matriciana da urlo e poi svelare la verità: “Sapete perché mi riesce così bene? Perché è abruzzese!”
Note dell’autore: Salvo Ardizzone, vive a Roma, attivista nel volontariato sociale, si occupa di pittura, fotografia, scrittura e arte pop. Alcune sue opere sono state esposte in diverse gallerie e mostre nazionali.